Omelia di don Daniele Muraro

Questa domenica ascoltiamo la testimonianza di Gesù su Giovanni Battista. Giovanni aveva parlato di Lui come del Messia, che sarebbe venuto con la santità di Dio e il suo dovere sarebbe stato purificare e rinnovare il cuore della gente.
Il Messia si sarebbe rivelato presto in pubblico e lo sfolgorare della sua luce divina avrebbe fatto risaltare con maggiore evidenza le ombre della colpa nelle coscienze e così Giovanni si sforzava di convincere quanta più persone possibile a togliere gli ostacoli morali per accogliere senza impedimenti il Salvatore.
Ben presto la predicazione di Giovanni diventò un avvenimento clamoroso tanto che accorrevano a lui fedeli ebrei da tutte le parti, e a questo punto il profeta del deserto si scontrò con il re Erode.
Il pregio di Giovanni Battista era la sua schiettezza. Nella sua predicazione egli non temeva di allargare l'invito alla conversione anche al sovrano e alla sua situazione familiare.
Quello che valeva per la vita privata degli uomini, tanto andava applicato a chi rivestiva una carica pubblica. Il re Erode temendo le parole di Giovanni potessero dare il via ad una rivolta popolare lo fece arrestare.
Il rispetto di Giovanni per il suo re non venne mai meno, tanto che Erode come dice il Vangelo in un altro punto, lo ascoltava volentieri, anche se nell'ascoltarlo restava molto perplesso.
Alla fine ebbe la meglio la ragion di stato e Giovanni, prigioniero e incarcerato nella fortezza di Macheronte, pagò con la vita la fedeltà alla sua missione.
Alcuni discepoli, rimasti in contatto con il loro antico maestro, nel frattempo continuavano a considerarlo come la loro guida spirituale. Giovanni Battista aveva già apertamente mostrato in Gesù il Salvatore mandato da Dio. Siccome non tutti erano convinti della sua indicazione, dalla cella della prigione Giovanni Battista manda alcuni dei più fedeli discepoli a interrogare Gesù a riguardo della sua persona: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?».
Essi si rivolgono a Gesù non perché avesse dei dubbi il loro maestro, ma proprio su consiglio di Giovanni perché egli ormai si considerava il secondo, colui che doveva diminuire e solo Gesù poteva parlare di se stesso con piena autorità.
Il Giovanni che incontriamo oggi è ben diverso da quello di domenica scorsa: è impedito nella sua libertà di espressione e segregato in un carcere di "massima sicurezza", eppure nessuno, neanche il re Erode cancella il suo ruolo pubblico. I suoi discepoli di un tempo gli rimangono fedeli e vengono da lui educati ad accettare il nuovo e definitivo messaggero di Dio che è Gesù di Nazaret.
Giovanni, in quanto profeta che ha parlato nel nome del Signore, diventa così davvero il modello di sopportazione e costanza a cui si riferisce san Giacomo nella seconda lettura.
Ma in questo tempo di Avvento preme sottolineare che la parola di Dio non può restare muta. Ormai Giovanni ha passato il testimone a Gesù ed Egli porterà avanti la sua missione pubblicamente finché non sarà completa.
La fede della Chiesa fin da suo inizio è pubblica, non privata o segreta. Per provare la sua qualità di Messia Gesù non trova di meglio che indicare ai discepoli del cugino Giovanni i fatti: la salvezza che egli porta si manifesta anche attraverso la guarigione fisica, segno dell'onnipotenza di Dio di cui egli è pieno.
Non si può trovare motivo di ostacolo in Lui perché tutto quello che lo riguarda avviene alla luce del sole. Solo la sua semplicità può essere motivo di scandalo per chi è sempre incline al sospetto anche quando il bene si manifesta in maniera irreprensibile.
Rovesciando le posizioni a quelli che lo ascoltavano Gesù dice che lo stesso vale per il cugino Giovanni: egli aveva fatto della radicalità evangelica il suo contrassegno di riconoscimento. Non c'era posto nella sua persona e nella sua condotta di vita per il superfluo né tantomeno per il lusso.
Tutti potevano rendersi conto immediatamente della serietà del personaggio e della solidità dei suoi argomenti. Quello che Giovanni raccomandava a tutti: la sobrietà e la penitenza, già da tempo egli lo pratica in privato.
I potenti di allora, ma anche di tutti i tempi, sono soliti mettere in risalto la loro autorità con dei segni esterni che li qualificassero. Giovanni non ne aveva bisogno. Il messaggio che portava valeva molto più ed era genuino.
Egli non aveva nulla da nascondere sotto i paludamenti che talora servono a distrarre gli spettatori e far dimenticare qualche magagna di chi parla.
Giovanni nemmeno si era piegato a cercare un facile consenso da parte del suo uditorio, seguendo gli umori di quella che adesso chiamiamo l'opinione pubblica.
Giovanni risultava credibile perché si appellava ad un principio superiore e per questo veniva ricercato e stimato. Investito di una missione grande come lui, prima di lui non ci fu mai nessuno, conclude Gesù, ma adesso che il Messia si è presentato e il Regno di Dio è stato inaugurato l'importante è lasciare ogni incertezza ed entrarvi dentro.
Questo Regno continua a vivere nella tradizione pubblica della Chiesa, quale si esprime soprattutto nella liturgia.
Quello che la Chiesa celebra è quello che essa crede: non c'è dissociazione fra le due cose e tutti possono farsene un'idea, sia della sua dottrina che dei suoi riti. Non ci sono corsi o livelli da superare per diventare cristiani, in cui vengano rivelate verità nascoste a quelli del gradino di sotto. O si è cristiani o non lo si è: perché la salvezza per i cristiani non dipende dal sapere qualche verità nascosta alla maggior parte della gente, ma la salvezza dipende dall'accogliere o no la persona di Gesù. Il Signore Gesù è "Colui che è venuto e non dobbiamo più aspettarne un altro".
San Giacomo nella seconda lettura propone l'esempio dell'agricoltore che è pieno di costanza e di buon senso. Anche per la fede cristiana serve il buon senso di chi guarda ai fatti e non si lascia incantare dalle parole. A sostegno della fede della Chiesa parlano i fatti, dai suoi frutti si può riconoscere l'albero e la pianta della Chiesa ha sempre prodotto frutti buoni perché è innestata in Cristo il suo Salvatore.
Se la tradizione della Chiesa è pubblica anche noi non dobbiamo avere paura di dichiararla e diffonderla pubblicamente.
"Ciò che ti è stato affidato, dice san Vincenzo di Lérins, deve rimanere in te ed essere da te trasmesso. Hai ricevuto oro: dona, dunque, oro. Non posso ammettere che tu sostituisca una cosa con un'altra. Non puoi, con sfacciataggine o frode, sostituire l'oro con rame o piombo. Non voglio l'apparenza dell'oro, ma oro puro.
San Giovanni Battista lo ha fatto, facciamolo anche noi, e ne abbiamo subito la possibilità dando al Natale il suo vero significato cristiano di nascita del Salvatore soprattutto alle nuove e non soltanto di festa dei regali e dei consumi.
Ma non possiamo dimenticare che questa luce ha anche attorno a sé tante tenebre; non possiamo non dimenticare i tanti pesi che opprimono il cuore, quando contempliamo la tua bellezza. E’ la tragedia della disoccupazione, che sembra non voler mai abbandonare la nostra città. Da questo luogo, dico ai responsabili: in nome di Dio, fate ogni cosa perché rifiorisca nella nostra città il lavoro! Non inaridite la fonte della libera iniziativa e della creatività economica, favoritela in tutti i modi!
E’ la tragedia di tanti giovani vite spezzate e distrutte o fisicamente sulle nostre strade o spiritualmente perché private del loro più elementare diritto: essere educate da noi adulti a discernere il vero dal falso, il bene dal male.
"Sotto il tuo aiuto noi ci rifugiamo, o Santa Madre di Dio: non disprezzare la nostra invocazione. O clemente, o pia, o dolce Vergine Maria".
Il Padre è ben lontano dal fare calcoli: non vuol sentire parlare di meriti. E' la rivelazione più sconvolgente di Dio: Gesù è tutto nella sua relazione filiale con il Padre ed invita tutti gli uomini ad entrare in questa stessa relazione. Invita i "peccatori" che nella parabola sono identificati con il figlio minore a non vivere il rapporto con Dio in termini di "colpevolizzazione" e "i giusti", il figlio maggiore, in termini di "giustificazione": la grande novità del Vangelo di Gesù è che il rapporto con Dio è solo rapporto filiale, pienamente liberante. "Figlio, tu sei sempre con me": lasciarsi amare dal Padre significa cessare di colpevolizzarsi e di colpevolizzare gli altri, di giustificarsi e di giustificare gli altri e cominciare a vivere una esistenza di assunzione di piena responsabilità filiale, una esistenza pacificata, che passa dalla morte alla vita, libera da sospetti, gelosie, calcoli, pienamente fraterna.