Card. Carlo Caffarra

Omelia tenuta nella Basilica di San Petronio il 19 giugno 2014

1. Cari fratelli e sorelle, la solennità del Corpo e del Sangue del Signore è caratterizzata dalla processione col SS. Sacramento.
La Chiesa, per capire e vivere in pienezza questo gesto, ripensa alla luce della parola di Dio il cammino di Israele attraverso il deserto. Israele trova nella desolazione del deserto la strada che lo porta alla terra promessa, perché è il Signore stesso che lo guida. Può vivere per quarant'anni anche nella terra che non può produrre alcun nutrimento, perché capisca «che l'uomo non vive solo di pane, ma che l'uomo vive di quanto esce dalla bocca di Dio».
Avete però sentito, cari amici, come il Signore dice al suo popolo: «ricordati di tutto il cammino»; «non dimenticare il Signore tuo Dio». Perché questa insistenza contro la dimenticanza? Perché quanto ha vissuto Israele fa emergere ciò che di più profondo vi è in ogni storia umana. Non è forse tutto il nostro vivere la ricerca di una terra promessa, di una «città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso?» [Eb 11, 10]. Ma questo viaggio può trovare il suo orientamento, evita il rischio di trasformarsi in un estenuante vagabondaggio, solo se il Signore cammina con noi.
Quando fra poco processionalmente andremo in Cattedrale, non dimentichiamo quanto il Signore ci ha detto nella prima lettura.

2. La Chiesa ha istituito questa solennità come un grande inno di gratitudine perché in Gesù, Dio non ha guidato il cammino del suo popolo solamente colla luce della sua Parola, ma si è fatto carne; è divenuto uomo fra gli uomini ed è rimasto con loro al punto che egli si pone nelle nostre mani e nel nostro cuore nel mistero del pane trasformato. Nessuno ha espresso meglio di Tommaso d'Aquino la gioia della Chiesa: «impegna tutto il tuo fervore; egli supera ogni lode; non vi è canto che sia degno».
In un momento drammatico del loro cammino nel deserto, i figli di Israele mormoravano contro il Signore, dicendo: «il signore è in mezzo a noi sì o no?» [cfr. ES 17, 3-7]. Forse, se non vigiliamo, anche noi siamo esposti a questa tentazione: "ma Gesù, Dio fattosi uomo è veramente presente fra noi; il pane ed il vino consacrati sono veramente il suo Corpo e il suo Sangue?".
Abbiamo ascoltato le parole di Gesù nel Vangelo. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita eterna». E cominciò subito il mormorio, la protesta, lo scandalo di chi ascoltava:«come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù avrebbe potuto subito zittirli: "ma cosa avete capito? Guardate che intendevo solo lasciare come immagine che la mia carne è il vero pane di vita". Non solo Gesù non dice questo, ma rafforza le sue parole: «se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita».
La fede nel Dio fatto uomo include la fede in Dio corporeo; e questa fede diventa realmente vera, piena, solo se essa non si limita ad essere un atto puramente spirituale, ma diventa un avvenimento sacramentale, in cui il Signore corporeo afferra la nostra persona che è anche corpo. La presenza reale di Gesù è una presenza che esercita su ciascuno di noi come una forza gravitazionale, una potenza di attrazione che vuole afferrarci ed unirci a Sé.

3. Cari fratelli e sorelle, una terza ed ultima breve riflessione per capire questa solennità. Poiché il Signore è realmente presente nell'Eucarestia, questa presenza ha sempre implicato l'adorazione.
Cari amici, siamo ancora capaci di adorare? Quando siamo alla Presenza del Signore nell'Eucarestia, quando lo riceviamo nella Comunione non avviene un incontro fra uguali. Nella sua fede profonda, Agostino pregava: «tu, Signore, chiamami amico; ma io mi considererò tuo servo, sempre».
Proviamo a pensare come nelle nostre chiese l'Eucarestia viene non raramente ricevuta: chiacchierando oppure cantando musica che è solo rumore ritmato e con parole prive di senso; ritornando al posto senza alcun raccoglimento.
In una sua predica, Agostino dice ai suoi fedeli: nessuno può comunicarsi senza prima aver adorato. Teodoro di Mopsuestia, suo contemporaneo, che operava in Siria, riferisce che ogni fedele prima di comunicarsi pronunciava una parola di adorazione. I monaci benedettini di Cluny prima di comunicarsi si toglievano le calzature.
La solennità del Corpus Domini richiama questa esigenza di nutrire un vero spirito di adorazione. Ancora una volta, nessuno meglio di S. Tommaso ha espresso questa esigenza: «Ti adoro devotamente, o Dio nascosto, che sotto queste apparenze ti nascondi veramente; tutto il mio cuore si sottomette a te, perché contemplandoti viene completamente meno».

Concludo. La solennità del Corpus Domini ci fa capire la profondità della nostra vita: è un cammino che il Signore in persona compie fra noi e con noi, e che noi compiamo alla luce della sua adorabile gloria.