Artefici di un umanesimo famigliare

Card. Giacomo Biffi - 5 febbraio 1988

Noi vescovi emiliano-romagnoli non possiamo dimenticare la mattina del 2 maggio 1986, quando Giovanni Paolo II, ricevendoci collettivamente nella sua biblioteca privata, ci ha intrattenuto proprio sulla famiglia, sulle sue difficoltà e le sue speranze, sul suo inalienabile valore umano e sulla sua rilevanza nella vita ecclesiale. il Papa invogliava così le nostre Chiese a un’attenzione privilegiata verso l’istituto familiare, e, in qualche modo, affidava a noi, tra le regioni d’Italia, l’impegno di seguire con particolare sollecitudine le sorti di questa fondamentale realtà.
Nella società contemporanea l’idea stessa di famiglia pare minacciata di dissoluzione. Troviamo qui uno degli esiti più inquietanti del generale processo di transizione dalla visione cristiana, che ha finora bene o male ispirato la vita dei nostri popoli, a una ideologia che si pretenderebbe razionale ed è piuttosto astratta e schematica, caratterizzata da un individualismo puntiglioso ed esasperato.
La visione cristiana è connotata dalla persuasione realistica che bisogna partire dalle cose come stanno, illuminata e trasfigurata dalla certezza che di fatto, nel disegno di Dio, tutto è stato posto entro un ordine soprannaturale ed è stato finalizzato a un destino trascendente.
La concezione, diciamo così, «illuministica» invece elabora un sistema di idee e lo impone alla realtà, giudicando tutto ciò che nella realtà non collima con l’ideologia un’arbitraria e deformante sovrastruttura, residuo delle molteplici aberrazioni dei secoli bui.
Ai nostri giorni l’onda lunga di questo «illuminismo» è ormai arrivata a flagellare l’istituto familiare. Partendo dagli uomini come individui – intesi quali soggetti autonomi e in qualche modo assoluti di funzioni e di diritti, identici tra loro nei compiti e nelle possibilità, sempre liberi di autodeterminarsi da capo in ogni momento della vicenda – non si riesce più a capire la logica e il dinamismo che sono intrinseci alla famiglia, la quale è fondamentalmente un «consortium» irrevocabile di persone differenziate.
La famiglia «illuministica» tende a presentarsi come la giustapposizione di due identità, sorretta da un accordo che, non toccando l’essere delle cose, sta tutto nella mobile volontà dei partecipanti.
Su questa strada si può arrivare a chiamare «famiglia» qualunque occasionale e provvisorio patto di consistenza, e perfino qualunque convivenza di due individui, fossero pure dello stesso sesso, cose che cominciano ad affiorare nei discorsi e nei propositi pubblicamente enunciati. È spontaneo estendere qui ai nostri contemporanei lo sferzante giudizio che San Paolo nella lettera ai Romani dava dei suoi: «hanno vaneggiato a furia di ragionare» (Rm 1,21).
Nella concezione cristiana invece la famiglia è essenzialmente una realtà di comunione interpersonale, che fa di un uomo e di una donna – che vivono e si esprimono in modo intenso e totale come uomo e come donna rispettivamente – quasi «una sola carne», e chiama genitori e figli alla condivisione della stessa vita, nella irrinunciabile divisione dei compiti.
Certo, non tutto è perverso o senza valore nelle acquisizioni della moderna mentalità. I discepoli di Gesù devono perciò saper discernere e valutare. Ce lo ha raccomandato anche Giovanni Paolo II con ammirevole chiarezza. «I cristiani – ci ha detto – devono porsi come coscienza critica di questa mentalità ed essere artefici di un autentico umanesimo familiare. Ciò comporta il discernimento evangelico, cioè la lettura e l’interpretazione della realtà familiare alla luce di Cristo, ‘lo Sposo che ama e si dona come Salvatore dell’umani-tà unendola a sé come suo corpo’ (FC,13). Solo alla luce del Vangelo di Cristo si potranno correggere criteri di giudizio, linee di pensiero e modelli di vita che sono in contrasto col disegno divino sull’uomo e sulla donna. In fondo, all’origine della crisi familiare c’è la rottura tra Vangelo e cultura, che è il dramma della nostra epoca, come lo è stato di altre».
Se mi è concesso ancora qualche minuto, vorrei con una rapida e sintetica riflessione aiutare i vostri pensieri a porsi appunto sotto la luce della divina Rivelazione, in modo che ci sia per così dire, una partenza «teologica» ai vostri lavori.
In Cristo, Dio si è sorprendentemente rivelato come Trinità, cioè come vita ineffabile di relazione, come realtà trascendente di donazioni interiori, come sinfonia di comunione e di amore. Insomma, in Cristo abbiamo saputo che c’è in Dio, per così dire, una «famiglia».
Il Figlio di Dio, facendosi uomo, ci ha messo a parte di questo segreto per condurci a partecipare a tale increata ricchezza, per farci entrare nella divina famiglia. Ma prima, in vista di questo disegno, ha voluto farsi partecipe lui della nostra povertà e ha deciso di entrare nella famiglia umana. Così non solo l’ha santificata, ma l’ha anche manifestata a se stessa. E la famiglia, che già in sé era un riflesso creato del mondo affettuoso di Dio, è stata investita da una luce nuova e più alta, e ha ricevuto un senso e una dignità di là da ogni attesa.
Nella Trinità – nella famiglia trinitaria – c’è una legge di esistenza e di vita che, almeno come ideale, deve risplendere in ogni sua «icona creata», cioè in ogni famiglia umana. È la legge dell’assoluta diversità e della pienezza di comunione.
Il Padre è totalmente altro, nella sua paternità, dal Figlio; il Figlio, nel suo essere Figlio, è totalmente altro dallo Spirito. Ma la loro comunione è tanto assoluta e perfetta che il Padre e il Figlio e lo Spirito sono la stessa unica infinita realtà.
Analogamente, nella famiglia umana come è stata pensata da Dio, lo sposo è totalmente diverso dalla sposa, essere genitori è totalmente diverso dall’essere figli; ma sposo e sposa, genitori e figli devono essere un’unica cosa nell’unità della casa. Il rispetto della singolarità e dell’irripetibilità delle persone non deve infrangere l’unità, e la ricerca quotidiana dell’unità non deve attentare all’originalità inedita di ciascuno dei componenti. Ciascuno ha un volto, un cuore, un’anima sua, e dall’unità dei volti, dei cuori, delle anime nasce e sussiste il miracolo della famiglia.
Questa è la realtà di Dio: Dio vive così, nella diversità delle persone e nell’assoluta unità dell’essere. E alla divina realtà si ispira il disegno che Dio ha pensato per noi.
Ma noi siamo sempre tentati di sovrapporre al disegno del grande artista i nostri scarabocchi, le nostre caricature della verità, che spesso sono rovesciamenti integrali della prospettiva originaria. Invece del valore personale proponiamo il livellamento, invece dell’unità esasperiamo l’individualismo. Così, mentre dovremmo sforzarci di capire e di avvalorare la diversità nella comunione, arriviamo a enfatizzare l’uguaglianza nella separazione.
L’uomo, si dice, è uguale alla donna: devono avere le stesse funzioni, gli stessi compiti, lo stesso tipo di vita. I padri e i figli devono essere messi sullo stesso piano: tutti devono poter giudicare, decidere, comportarsi esattamente nello stesso modo.
In questa maniera il progetto divino è capovolto, e la famiglia, uscita dai binari che sono stati predisposti per lei, procede nella storia tra crescenti disagi. Dobbiamo tendere a ritrovare il disegno nativo, che ha la sua fonte nella Trinità eterna e la sua migliore attuazione creata nella famiglia di Nazaret.