Le Beatitudini

Per afferrare la vera profondità delle Beatitudini dobbiamo porre in luce un aspetto che nell’esegesi moderna viene poco considerato, ma che è a mio parere decisivo per una realistica interpretazione del Discorso della Montagna nel suo insieme. Intendo la dimensione cristologica di questo testo. [...] Il soggetto segreto del Discorso della Montagna è Gesù. Il Discorso della Montagna non è un moralismo esagerato e irreale, che allora perde ogni rapporto concreto con la nostra vita e appare nell’insieme impraticabile. E non è neppure – come ritiene l’ipotesi opposta – semplicemente uno specchio in cui si vede che tutti sono e restano peccatori in tutto, e che possono giungere a salvezza solo per una grazia incondizionata. Con questa opposizione di moralismo e di pura teoria della grazia non si penetra nel testo ma lo si allontana da sé. Cristo è il centro che unisce le due cose, e soltanto la scoperta di Cristo nel testo lo apre per noi e lo fa diventare una parola di speranza. Se andiamo al fondo delle Beatitudini, ovunque appare il soggetto segreto Gesù. Egli è colui in cui si vede ciò che significa ‘essere poveri nello Spirito Santo’. Egli è l’afflitto, il mite, colui che ha fame e sete di giustizia, il misericordioso. Egli ha il cuore puro, è colui che porta pace, il perseguitato per causa della giustizia. Tutte le parole del Discorso della Montagna sono carne e sangue in lui. Il Discorso della Montagna è chiamata all’imitazione di Gesù Cristo. Egli soltanto è ‘perfetto come è perfetto il Padre nostro che è nei cieli’ (Mt 5, 48). Non possiamo da noi essere ‘perfetti come il Padre nostro che è nei cieli’, ma lo dobbiamo per corrispondere al compito della nostra natura. Noi non lo possiamo, ma possiamo seguire Gesù, aderire a lui, ‘diventare suoi’. Se noi apparteniamo a lui come sue membra, allora diventiamo per partecipazione ciò che egli è; la sua bontà diventa la nostra. Le parole del Padre nella parabola del figliol prodigo si realizzano in noi: tutto ciò che è mio è tuo (Lc 15, 31). Il moralismo del discorso, troppo arduo per noi, viene raccolto e trasformato nella comunione con Gesù, nell’essere discepoli di Gesù, nell’amicizia con lui, nella fiducia in lui”.

In questa quarta domenica del Tempo Ordinario, il Vangelo presenta il primo grande discorso che il Signore rivolge alla gente, sulle dolci colline intorno al Lago di Galilea. «Vedendo le folle – scrive san Matteo –, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro» (Mt 5,1-2). Gesù, nuovo Mosè, «prende posto sulla "cattedra" della montagna» e proclama «beati» i poveri in spirito, gli afflitti, i misericordiosi, quanti hanno fame della giustizia, i puri di cuore, i perseguitati (cfr Mt 5,3-10). Non si tratta di una nuova ideologia, ma di un insegnamento che viene dall’alto e tocca la condizione umana, proprio quella che il Signore, incarnandosi, ha voluto assumere, per salvarla.
Perciò, «il Discorso della montagna è diretto a tutto il mondo, nel presente e nel futuro … e può essere compreso e vissuto solo nella sequela di Gesù, nel camminare con Lui».
Le Beatitudini sono un nuovo programma di vita, per liberarsi dai falsi valori del mondo e aprirsi ai veri beni, presenti e futuri. Quando, infatti, Dio consola, sazia la fame di giustizia, asciuga le lacrime degli afflitti, significa che, oltre a ricompensare ciascuno in modo sensibile, apre il Regno dei Cieli. «Le Beatitudini sono la trasposizione della croce e della risurrezione nell’esistenza dei discepoli». Esse rispecchiano la vita del Figlio di Dio che si lascia perseguitare, disprezzare fino alla condanna a morte, affinché agli uomini sia donata la salvezza.
Afferma un antico eremita: «Le Beatitudini sono doni di Dio, e dobbiamo rendergli grandi grazie per esse e per le ricompense che ne derivano, cioè il Regno dei Cieli nel secolo futuro, la consolazione qui, la pienezza di ogni bene e misericordia da parte di Dio … una volta che si sia divenuti immagine del Cristo sulla terra» (Pietro di Damasco).
Il Vangelo delle Beatitudini si commenta con la storia stessa della Chiesa, la storia della santità cristiana, perché – come scrive san Paolo – «quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono» (1 Cor 1,27-28). Per questo la Chiesa non teme la povertà, il disprezzo, la persecuzione in una società spesso attratta dal benessere materiale e dal potere mondano.
Sant’Agostino ci ricorda che «non giova soffrire questi mali, ma sopportarli per il nome di Gesù, non solo con animo sereno, ma anche con gioia» (De sermone Domini in monte).

Cari fratelli e sorelle, invochiamo la Vergine Maria, la Beata per eccellenza, chiedendo la forza di cercare il Signore (cfr Sof 2,3) e di seguirlo sempre, con gioia, sulla via delle Beatitudini.