San Tommaso More - martire

Nasce a Londra nel 1478, da una famiglia borghese. A 13 anni, nel 1490 viene posto al servizio dell'Arcivescovo di Canterbury, Jhon Morton, cancelliere del Re d'Inghilterra e futuro Cardinale che, per fargli proseguire meglio gli studi, lo collocò ad Oxford, dove studiò giurisprudenza diventando un ottimo avvocato.

Negli anni successivi si dedica alla devozione e alla preghiera nella Certosa di Londra, dove vive come un religioso, senza far professione, per circa 4 anni, fino a che si reca da lui un certo signor Colt, un gentiluomo, che lo aveva spesso invitato, e che aveva 3 figlie. Tommaso sulle prime è attratto dalla secondogenita, perché la riteneva la più bella e la più benvoluta, tuttavia, quando si rende conto che per la sorella maggiore sarebbe stato un dispiacere e una vergogna vedere la sorella più piccola sposarsi per prima, allora "volge il suo affetto verso la primogenita", Giovanna e la sposa nel 1505 (fu un matrimonio ottimo, e Tommaso era molto innamorato della moglie). Giovanna dà alla luce 4 figli, e nel 1511 muore. Circa un mese dopo Tommaso sposa in seconde nozze Alice Middleton, vedova anch'essa, e con una figlia, per garantire in qualche modo una figura femminile accanto ai propri figli.

Fu per tutta la vita marito e padre affezionato e fedele, intimamente impegnato nell'educazione religiosa, morale e intellettuale dei figli. La sua casa accoglieva generi, nuore e nipoti, e rimaneva aperta per molti giovani amici, alla ricerca della verità o della propria vocazione. La vita di famiglia lasciava molto spazio alla preghiera comune e alla lectio divina, insieme anche alla ricreazione domestica. Tommaso partecipava quotidianamente alla Messa, e sempre, prima di prendere decisioni importanti, si confessava.

Nel 1504, sotto re Enrico VII, venne eletto per la prima volta al Parlamento. Enrico VIII gli rinnovò il mandato nel 1510, e lo nominò anche rappresentante della Corona nella capitale, aprendogli una carriera di spicco nell'amministrazione pubblica. Nel decennio successivo, il re lo inviò a varie riprese in missioni diplomatiche e commerciali nelle Fiandre e nel territorio dell'odierna Francia. Non smette mai di scrivere, e nel 1516 stende L'utopia, un meraviglioso trattato di filosofia politica, al pari del Principe di Niccolò Machiavelli.

Viene fatto membro del Consiglio della Corona, giudice presidente di un tribunale importante, vice-tesoriere e cavaliere, nel 1523. Tommaso prova allora a rinunciare alla nomina pronunciando un discorso a sua maestà per esserne esonerato, ma, non volendo il re acconsentire, accetta l'incarico.

Tommaso era una persona molto gioviale ed amabile, amava stare in compagnia, e, quando si imbatteva in qualche discussione con qualcuno, essendo lui un perfetto oratore e anche molto colto, nel momento in cui aveva l'impressione che la persona con cui parlava iniziava ad essere in imbarazzo, di colpo cambiava discorso per non umiliarla.

Da tutti stimato per l'integrità morale, l'acutezza dell'ingegno, il carattere aperto e scherzoso, e l'enorme cultura, nel 1529, in un momento di crisi economica e politica per il paese, Tommaso fu nominato dal re Cancelliere del Regno. Primo laico a ricoprire questa carica, Tommaso affrontò un periodo estremamente difficile, sforzandosi di servire il re e il paese. Fedele ai suoi princìpi, si impegnò a promuovere la giustizia e ad arginare l'influsso deleterio di chi perseguiva i propri interessi a spese dei deboli. Nel 1532, non volendo dare il proprio appoggio al disegno di Enrico VIII che voleva assumere il controllo sulla Chiesa di Inghilterra, rassegnò le dimissioni, si ritirò dalla vita pubblica, accettando di soffrire con la sua famiglia la povertà e l'abbandono di chi fino ad allora gli era stato vicino.

Il problema è questo: il 23 maggio 1523 il Vescovo Cranmer dichiara nullo il matrimonio tra Enrico VIII e Caterina d'Aragona per avere il sovrano sposato la vedova del fratello. La pretestuosità delle argomentazioni usate per sciogliere il vincolo matrimoniale si evince dalla circostanza che lo scioglimento avvenne a ben 24 anni dal matrimonio. Il 28 dello stesso mese lo stesso prelato provvide a dichiarare valido il matrimonio con Anna Bolena che venne incoronata regina il 1 giugno successivo.

Invitato a prendere posizione sulla questione del divorzio il 13 aprile 1534 si presentò a palazzo Lambeth rifiutando di sottoscrivere, per le sue implicazioni sul piano della fede, l'atto di successione votato dai Lords e venne incarcerato nella Torre il successivo 17 aprile. Tommaso aveva intuito che prestare giuramento avrebbe comportato l'accettazione di un assetto politico ed ecclesiastico che preparava il terreno ad un dispotismo senza controllo.

Fu sottoposto ad interrogatorio e venne condannato a morte per aver parlato del re in modo malizioso e diabolico (falsa testimonianza).

Ma Tommaso non si perde d'animo. Incoraggia i familiari che lo visitano nella prigione della Torre di Londra e scrive cose bellissime in latino a un amico italiano che vive a Londra, il mercante lucchese Antonio Bonvisi: "Amico mio, più di ogni altro fedelissimo e dilettissimo... Cristo conservi sana la tua famiglia". Bonvisi gli manda in prigione cibi, vini e un abito nuovo per il giorno dell'esecuzione (ma non glielo lasceranno indossare). Davanti al patibolo, è cordiale anche col boia che dovrà decapitarlo: "Su, amico, fatti animo; ma guarda che ho il collo piuttosto corto", e gli regala una moneta d'oro. Poi, venuto il momento, dice alcune parole. "Poche", gli hanno raccomandato: e poche sono. Tommaso Moro invita a pregare per Enrico VIII, "e dichiarò che moriva da suddito fedele al re, ma innanzitutto a Dio". Era il 1535.

Tommaso fu l'unico laico a non firmare, ed insieme ad altri 53 martiri, compreso il vescovo Fisher fu beatificato da Papa Leone XIII nel 1886 e canonizzato da Pio XI nel 1935, proclamato patrono dei politici da Giovanni Paolo II il 31 ottobre 2000.

Questa preghiera esaltante è stata composta da Tommaso Moro nella Torre di Londra, in attesa dell'esecuzione capitale. Fino alla fine, Tommaso Moro chiese al Signore il dono dell'umorismo. E, per nostra fortuna, il Signore non gliela negò.

Signore dammi una buona digestione
e dammi, naturalmente, qualcosa da digerire.
Dammi la salute del corpo,
con il buonumore necessario per mantenerla.
Dammi un'anima sana, che abbia sempre davanti agli occhi
ciò che è buono e puro,
così che di fronte al peccato non si scandalizzi,
ma sappia sempre trovare il modo di porvi rimedio.
Dammi, o Signore, un'anima che conosca
la noia, i lamenti, i brontolamenti, i sospiri,
e non permettere che me la prenda troppo per quella cosa
troppo invadente, che si chiama io.
Signore, dammi il senso dell'umorismo,
dammi il dono di saper ridere di uno scherzo,
affinchè io sappia trarre un pò di gioia dalla vita,
e possa farne parte anche agli altri.