Come sta il nostro Crocefisso?

crocefisso

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Lo avevamo salutato una mattina di ottobre  in partenza dalla nostra  Collegiata – dove aveva trovato asilo come esule terremotato del sisma 2012 –  diretto a Reggio Emilia, ancora “abbronzato” e attraversato da una “faglia” longitudinale lungo tutto il martoriato costato.

Così lo avevamo sempre conosciuto, trionfante nella sua chiesa eponima - anch’essa profanata dalla natura – e così, da secoli, l’hanno adorato  prima ancora i nostri avi in Santa Maria delle Laudi e nella Chiesa di San Michele (entrambe demolite).

Ma, lo sappiamo, lo avevamo intuito ed oggi ne abbiamo contezza, non era sempre stato così: l’artista,  che nella seconda metà del ‘400 , con realismo donatelliano , lo aveva forgiato da un unico tronco, non aveva lasciato nulla di intentato alla massima resa naturalistica: dall’aspra e dolorosa tensione del viso e del corpo, al vivido colorito della carnagione. D’altra parte erano tempi in cui la policromia dei manufatti, sia lignei che fittili o marmorei non aveva ancora lasciato il passo al gusto del colorito bronzeo, che avrebbe fatto “violenza” a  molte opere del passato, che di bronzo non avevano nemmeno “l’anima”.

Si, l’avevamo intuito e venerdì 8 novembre, quando ci siamo recati al cospetto del “sacro degente” (quasi con lo spirito di assolvere al dovere di una “ delle opere di misericordia corporale”: visitare gli infermi), la restauratrice dott.ssa Notari, novella Maria di Cleofa o Maddalena, ci ha disvelato – lei stessa con emozione – il nostro Cristo “deposto” su un nudo tavolaccio (per ovvie necessità di lavorazione) e liberato non solo della croce ma da tutte quelle “incrostazioni”e orpelli che nel tempo si erano sovrapposti per incolpevole devozione e mutata maniera all’originario manufatto.

 Alla comunità - e soprattutto a coloro che con concreta e immediata partecipazione hanno consentito di avviare il progetto di restauro – non vogliamo anticipare  il risultato stupefacente che – presumibilmente entro febbraio -  si disvelerà ai loro occhi in tutta la sua drammatica bellezza e Verità; ma non possiamo nemmeno sottacere che il nostro presentimento quel venerdì veniva inequivocabilmente confermato da quanto si andava delineando nella prima parziale fase di ripulitura : sotto la spessa dipintura  bronzea, la cui necessaria rimozione era resa ancor più arcigna da un substrato di gesso, le abili mani della restauratrice, munite solo di un minuscolo raschietto, avevano fatto emergere, centimetro dopo centimetro ,l’originario colorito del cristo morente; un incarnato luminoso, appena attenuato dalla patina del tempo, il sangue sgorgante dalla ferita del costato, gli ematomi delle ginocchia causate dalle cadute al Calvario.

Tutto questo in un impietoso contrasto con la tenebrosità di quella parte del manufatto su cui non si era ancora intervenuti.

Vogliamo concludere ribadendo la nostra convinzione che l’intervento, così calorosamente e sentitamente recepito dalla comunità religiosa, non solo abbia posto un provvidenziale e ineludibile argine al pericoloso degrado della sacra immagine, ma sia stato giustamente incanalato nel solco virtuoso  di un recupero storico e artistico della sua origine , così  come è avvenuto anni fa con il rivoluzionario restauro della Cappella Sistina (disvelando un Michelangelo sconosciuto) o - in epoca recentissima e come esempio più attinente al Nostro – con il Crocefisso ligneo della chiesa di Santa Maria dei Servi di Padova, il cui ritorno alla sua policromia originaria, sottostante alla postuma patina bronzea, ha fugato ogni residuo dubbio sulla attribuzione del manufatto al grande Donatello.

Noi non siamo molto distanti : il NOSTRO forse non sarà opera di Donato di Nicolò di Betto Bardi, il grande Donatello cioè, ma certamente il suo autore ha messo a frutto con grande perizia, personalità e valore artistico gli insegnamenti del Maestro.

Piero Boccaccini, da "La Voce che chiama - Natale 2019"