50° anniversario della apertura del Concilio Vaticano II
Card. Carlo Caffarra - in Cattedrale 11 Ottobre 2012
1. «A questo
siete stati chiamati, per avere in eredità la benedizione». Cari
fratelli e sorelle, la benedizione a cui siamo stati chiamati
riassume tutti i doni della salvezza. Sempre l'apostolo Pietro nel
discorso tenuto al popolo dopo la guarigione dello storpio, dice
che «Dio, dopo aver risuscitato il suo servo, l'ha mandato … per
portarvi la benedizione» [At 3, 26]. E l'apostolo Paolo, esprimendo
il desiderio di visitare la comunità di Roma, dice: «verrò con la
pienezza della benedizione di Cristo» [Rom 15, 29].
Dunque, siamo stati benedetti «con ogni benedizione spirituale nei
cieli, in Cristo» [Ef 1, 3]. E questa sera abbiamo voluto rendere
grazie al Dio di ogni benedizione per la benedizione del Concilio.
Si, fratelli e sorelle, il Concilio Vaticano II è stata la grande
benedizione con cui Dio ha benedetto la Chiesa del Suo Figlio
unigenito, nel ventesimo secolo. Per quale ragione? Quali sono i
contenuti, i doni apportati da questa benedizione? L'uomo infatti
benedice Dio narrando i divini benefici.
La prima ragione è stata l'evento stesso del
Concilio, la sua celebrazione come tale. Esso ha manifestato il
mistero della Chiesa davanti a tutta l'umanità. Nel discorso di
apertura del 2° periodo del Concilio, Paolo VI lo disse con elevata
dizione: «la Chiesa peregrinante, qui tutta insieme si ristora alla
fonte che sazia ogni sete, e ogni nuova sete ridesta, la Chiesa
apostolica riunita da tutto il mondo» [EV 1, 134]. Il Concilio è
stato una benedizione, perché nella sua stessa celebrazione è stato
una vera epifania della Chiesa.
È commovente leggere oggi un lungo poemetto scritto da uno dei più
giovani Padri conciliari, K. Wojtyla, per descrivere ciò che
spiritualmente provò in quei giorni. Trovandosi vicino ad un
fratello vescovo africano, scrive:
Sei tu, mio Diletto Fratello; sento in te un immenso
continente,
dove i fiumi di colpo s'arrestano … e dove il sole cuoce tutto
l'essere come un crogiuolo la ganga di ferro- in te sento il mio
stesso pensiero:
ha vie diverse, il pensiero, ma colla stessa bilancia divide la
verità dall'errore.
Ecco allora la gioia di misurare con la stessa bilancia i
pensieri
che brillano in modo diverso nei tuoi occhi e nei miei pur avendo
un'identica essenza.
[ in Tutte le opere letterarie, Bompiani ed.
Milano 2001, 109].
La seconda ragione per cui il Concilio è stato una
benedizione per la Chiesa è il suo insegnamento, il quale ha preso
corpo nei suoi documenti, soprattutto nelle quattro
Costituzioni.
Nella bolla di indizione il beato Giovanni XXIII confida di aver
voluto il Concilio «in continuazione della serie dei grandi venti
Concili [quod eam viginti maximarum Synodorum seriem
continuaret], riusciti lungo i secoli una vera provvidenza
celeste» [EV 1, 6].
Sarebbe mancare di rispetto alla memoria del grande Pontefice, dare
al termine "continuazione" un senso meramente cronologico o
addirittura numerico. Il termine "continuazione" è una categoria
teologica e denota una dimensione essenziale nella vita della
Chiesa, la Tradizione. Le parabole del grano, della semente di
senape, del lievito narrate da Gesù prefigurano anche la continuità
del magistero conciliare lungo i secoli. La spiga certo non è il
grano seminato; l'albero di senape non è il suo seme, certamente.
Ma il grano e l'albero ne sono lo sviluppo vitale. Il Concilio è
stato una benedizione perché è stato uno sviluppo vitale della
divina Rivelazione consegnata agli Apostoli, dovuto e alla forza
intrinseca alla medesima e alla necessità di rispondere alle sfide
del nostro tempo. Il grano sviluppandosi non diventa una specie
diversa [cfr. S. Basilio Ep. 223, 3]; il grano resterebbe sterile
se non si sviluppasse fino alla pianta.
Il Concilio Vaticano II ha garantito la viva trasmissione della
Parola di Dio affidata alla Chiesa. L'insegnamento del Concilio
dunque va accolto né come inutile ripetizione del già insegnato, né
come rottura con il Magistero che lo ha preceduto. È stato
l'epifania della viva Tradizione della Chiesa.
La terza ragione per cui il Concilio è stato una
benedizione per la Chiesa, è il contenuto dei suoi
insegnamenti.
Non è questo il momento in cui farne un'esposizione completa, sia
pure sintetica. Mi limito a due soli punti, e brevemente
accennati.
Il primo riguarda l'insegnamento del Concilio sulla Liturgia. Nel
maggio scorso il S. Padre Benedetto XVI rivolgendosi ai Vescovi
italiani riuniti per la consueta Assemblea Generale, disse: «Nella
preparazione del Vaticano II, l'interrogativo prevalente a cui
l'Assise conciliare intendeva dare risposta era: Chiesa, che cosa
dici di te stessa? Approfondendo tale domanda, i Padri conciliari
furono, per così dire, ricondotti al cuore della risposta: si
trattava di ripartire da Dio, celebrato, professato e testimoniato.
Esteriormente a caso, ma profondamente non a caso, infatti, la
prima Costituzione approvata fu quella sulla Sacra Liturgia: il
culto divino orienta l'uomo verso la Città futura e restituisce a
Dio il suo primato, plasma la Chiesa, incessantemente convocata
dalla Parola, e mostra al mondo la fecondità dell'incontro con
Dio».
Tutto nell'insegnamento conciliare sulla Liturgia si racchiude
nell'affermazione che essa è «fonte e culmine» di tutta la vita
della Chiesa. La qualifica di fonte afferma il
primato dell'azione di Dio per mezzo di Cristo nello Spirito Santo.
L'asse architettonico dell'azione liturgica è la celebrazione della
gloria di Dio che viene comunicata all'uomo: è un atto, l'atto
liturgico, teo-centrico e non antropo-centrico.
Da questa sua natura di fonte deriva quella
di culmine. Facciamo bene attenzione a questa
parola. Essa dice che la finalità intrinseca di ogni azione
ecclesiale è la celebrazione liturgica; è il punto o meta finale a
cui è intrinsecamente orientato ogni agire ecclesiale.
L'annuncio del Vangelo e l'ascolto della Parola ha una priorità nei
confronti dell'azione liturgica, ma non un primato. Senza la fede
infatti la liturgia è vuota rappresentazione. Ma la fede non
termina alla Parola, ma alla Realtà di cui la Parola parla. E la
Realtà la incontro nella celebrazione liturgica.
Il secondo punto dell'insegnamento del Concilio è la dottrina della
Chiesa. Vorrei fare ascoltare l'inizio del più importante documento
del Concilio.
«La luce delle genti è Cristo; e questo santo Sinodo, riunito nello
Spirito Santo, desidera ardentemente illuminare tutti gli uomini
con la luce di Cristo che si riflette sul volto della Chiesa,
annunciando il Vangelo ad ogni creatura» [EV 1, 284].
Cari fratelli e sorelle, in queste parole troviamo la chiave
interpretativa di tutto il Magistero del Vaticano II sulla Chiesa.
Esso ha affrontato molti aspetti, dottrinali e disciplinari, della
dottrina della Chiesa. Ma tutto questo è a partire dal primato
della specifica missione della Chiesa e ad esso tutto è orientato e
subordinato: «illuminare tutti gli uomini con la luce di Cristo …
annunciando il Vangelo ad ogni creatura». Come amavano dire i Padri
della Chiesa, nelle tenebre degli uomini la Chiesa è come la luna:
illumina perché riflette la luce del Sole di giustizia, Cristo
Signore.
È questo il significato profondo della fondamentale denominazione
della Chiesa, che dà il titolo al primo capitolo della Costituzione
dogmatica sulla Chiesa: la Chiesa è Mistero. È cioè la presenza
visibile dell'azione salvifica di Dio in Cristo: «sacramento, segno
e strumento dell'unione con Dio e dell'unità di tutto il genere
umano» [EV 1, 284]. La più grande disgrazia che possa dunque
capitare è di essere tagliati fuori dal mistero della Chiesa [cfr.
Origene, Commento al Vangelo di Giovanni 20,
15; PG 14, 1036 A].
2. «E finalmente
siate tutti concordi, partecipi delle gioie e dei dolori degli
altri, animati da affetto fraterno». La benedizione che è stata il
Concilio non ci consente più di vivere la nostra vita ecclesiale
come prima. Ogni dono divino è anche un compito umano.
La celebrazione del cinquantesimo anniversario deve essere anche un
esame di coscienza sulla recezione nostra della benedizione divina
del Concilio. Non basta sapere ciò che il Concilio è stato e ciò
che ha precisamente insegnato. È necessario verificare che cosa
esso è diventato una volta messo nelle nostre mani, e seminato nel
terreno della nostra Chiesa. È questo un compito - l'esame di
coscienza sulla recezione del Concilio - che non può essere
ovviamente adempiuto in questa celebrazione. Mi siano però
consentite due indicazioni in corrispondenza ai due punti
dottrinali sopra richiamati.
La prima indicazione riguarda la liturgia. Non c'è dubbio che la
nostra Chiesa al riguardo ha goduto di una particolare grazia
celeste: l'episcopato del Card. Giacomo Lercaro. E pertanto
l'insegnamento conciliare è stato accolto con gioia e con frutto
dai sacerdoti e dai fedeli.
Dobbiamo chiederci tuttavia con umiltà se le nostre celebrazioni
fanno sempre risplendere, in una dignitosa semplicità, la divina
Presenza che in esse opera. Dobbiamo chiederci con umiltà se le
nostre celebrazioni sono profondamente permeate di adorante
riverenza, di un senso vero del primato della gloria di Dio. Se in
una parola, sempre e dovunque il loro asse orientativo è Cristo e
la gloria del Padre, oppure noi stessi e la comunità.
La seconda indicazione riguarda la dottrina circa la Chiesa; più
precisamente un suo aspetto o elemento, la dottrina circa i fedeli
laici.
Al riguardo il Concilio ci ha dato un grande insegnamento. L'indole
secolare, che definisce il fedele laico, non è un mero dato di
fatto: è una vocazione. È una missione: «cercare il regno di Dio
trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio; rendere
presente e operante la Chiesa in quei luoghi e in quelle
circostanze, in cui essa non può diventare sale della terra se non
per mezzo loro» [EV 1, 363.369].
Sembra che sul Magistero conciliare circa la missione specifica dei
laici la nostra Chiesa debba fare un serio esame di
coscienza.
Cari fratelli e sorelle, questa Cattedrale custodisce le spoglie
mortali del Card. Giacomo Lercaro di v. m. Egli fu uno dei
costruttori del Concilio, e ne diresse anche le sessioni. È questo
un fatto che ci deve spingere ad intensificare, durante questo
cinquantenario, l'impegno della nostra Chiesa nell'attuazione del
Concilio.
Ma, non dimentichiamo che il problema principale dell'attuazione
non è il come attuare, ma che
cosa attuare. «Il Concilio ha delineato la forma di fede
che corrisponde all'esistenza del cristiano contemporaneo» [K.
Wojtyla, Alle fonti del rinnovamento, LEV 1981,
374]. È la maturazione della fede, che il Concilio ci chiede;
arricchimento della fede mediante una più profonda conoscenza di
ciò che il Padre ci ha donato in Cristo.
L'Anno della Fede che solennemente apriremo domenica prossima, ci è
donato per questo.