Le opere di misericordia spirituale

Trattando dell'amore e della carità che dobbiamo al prossimo per ciò che riguarda i beni spirituali dell'anima, è necessario che diciamo qualche cosa intorno alle opere di misericordia spirituali, essendo anche questo un punto di grande importanza, perché ci fa adempiere quanto dobbiamo al prossimo riguardo all'anima. Sette, come sapete, sono le opere di misericordia corporali: dar da mangiare agli affamati; dar da bere agli assetati; vestire gli ignudi; albergare i pellegrini; visitare gli infermi e i carcerati; seppellire i morti.
Sette sono pure le opere di misericordia spirituali: ammaestrare gli ignoranti; ammonire i peccatori; consolare gli afflitti e i tribolati; dare buoni consigli a chi ne ha bisogno; sopportare pazientemente le persone moleste; perdonare le ingiurie; pregare Dio per i vivi e per i morti. Quanto a quest'ultima: pregare Dio per i vivi, non ne farò parola, perché ne dissi già qualcosa; quanto a pregare per i morti, spero di dirvene poi, parlando della Comunione dei Santi.
La prima opera di misericordia spirituale è, dunque, quella di ammaestrare gli ignoranti nelle cose divine che ognuno è tenuto a sapere, e che sono necessarie al profitto spirituale dell'anima e all'eterna salute. Questo è un atto di gran merito, a cui alcuni sono tenuti per giustizia, altri per carità. Per giustizia, parlando solamente di ciò che i superiori sono tenuti ad insegnare ai loro sudditi: cioè, insegnare la pratica osservanza della legge divina, della santa Regola e di tutte quelle altre cose che favoriscono l'acquisto delle virtù, convenienti al proprio stato. Chi, tenendo il posto di superiori, non volesse prendersi cura, qualora ce ne fosse bisogno, di ammaestrare, di indirizzare i suoi subalterni all'adempimento perfetto dei divini precetti e dei doveri del proprio stato, sarebbe - dice S. Paolo - peggio di un infedele, perché, avendo la fede, ne trascurerebbe i doveri. Tutti gli altri, poi, sono tenuti a far questo per carità verso quelle persone che conoscono averne bisogno, e che da altri non possono essere istruiti. Questa obbligazione di ammaestrare chi ne ha bisogno nelle cose divine, può essere anche grave, quando chi ne ha bisogno si trovasse in tali circostanze che, se noi ricusassimo di istruirlo, resterebbe per sempre ignorante in materia religiosa.
La seconda opera di misericordia spirituale è di ammonire i peccatori. Anche qui, limitandoci a ciò che spetta a noi, si distinguono due tipi di correzioni.
Una si dice paterna, ed è quella che fa chi ha autorità sopra il colpevole, perché gli è superiore, ed è ordinata, non solo all'emendazione del difettoso, ma anche al bene comune. Sono tenuti, per giustizia, tutti quelli che hanno autorità, ogni volta che scorgono nelle persone a loro soggette dei difetti notevoli, soprattutto se questi difetti fossero tali che turbassero la pace e portassero il disordine in tutta la comunità. Ad esempio, se una religiosa mostra simpatia più per una che per un'altra consorella; se coltiva particolari amicizie, formando combriccole e gruppetti, ritirandosi poi in disparte a ragionar tra loro, in segreto, e cose simili: questo sarebbe proprio nuocere alla comunità. Tale correzione di questi e simili difetti, i superiori, che devono, per stretto obbligo di coscienza, vigilare sul buon andamento della casa, sono obbligati a farla senza alcun riguardo e fare anche (quando vi sia bisogno) qualche severo rimprovero per estirpare, nelle loro suore, le radici di questa diabolica zizzania che è la vera peste della famiglia religiosa. Questa, dice S. Agostino, citato da S. Alfonso de' Liguori nella sua « Monaca santa », converte i sacri ritiri da case di Dio in case del diavolo; da luoghi di santità in luoghi di perdizione.
La seconda specie di correzione si chiama propriamente ammonizione fraterna, alla quale, per comando di Gesù Cristo stesso, è tenuto ogni cristiano. « Se il tuo fratello sbaglia - dice S. Matteo - va e correggilo fra te e lui solo, in segreto. Se egli ti ascolta e riceve bene la tua correzione, tu hai guadagnata l'anima del tuo fratello. Se non ti ascolta, dillo ai superiori ». E questa correzione fraterna si deve anche fare per legge naturale di carità. Questa ci obbliga a soccorrere il prossimo nostro quando è caduto in qualche grave miseria. E quale miseria più grave che cadere in peccato, sia pure veniale, il quale ci priva dei beni incomparabili della grazia e diminuisce in noi il fervore? E' da notare che quest'atto della correzione fraterna, obbliga solamente quando vi sono le dovute circostanze di tempo, di luogo, di modo. Quando dunque siamo tenuti a correggere il nostro prossimo? Quando siamo certi ch'egli è caduto in peccato e quando si sono vagliate le conseguenze che ne potrebbero derivare; quando cioè, c'è probabile speranza che la persona da correggere, una volta che sia da noi avvisata e corretta, si emendi. Se si prevedesse invece che la correzione non servisse ad altro che ad inasprirla maggiormente e a farla cadere in nuovi difetti, allora si dovrebbe tralasciare. Così pure, noi siamo tenuti sotto pena di colpa a far la correzione fraterna, quando vediamo che il prossimo non si emenderà, se non sarà corretto, e che per fare la correzione non ci sono altri che noi, o, se vi sono, non la vogliono fare. In ogni caso, però, bisogna farla sempre con carità, prudenza e al momento opportuno. Con carità: vale a dire senza passione, senza avversione, con il solo fine di giovare al fratello e salvarlo dalla colpa. Con prudenza: avendo riguardo al temperamento e alla condizione sua, adoperando le maniere più adatte e più proprie per guadagnarlo a Dio. Al momento opportuno: scegliendo il luogo e il tempo più adatto, ora usando parole alquanto forti, ora usando parole dolci, ed usando anche le preghiere. Ordinariamente occorre usare sempre preghiera e dolcezza, perché queste tutto possono e piegano anche i cuori più duri.