Omelia del Card. Giacomo Biffi

Dedicazione della Chiesa Cattedrale

Noi amiamo questo tempio, nobilitato dall’arte, ricco di storia, evocatore di sante memorie; l’amiamo, e oggi particolarmente vogliamo onorarlo con questa solenne liturgia che ci richiama “il giorno santo in cui il Signore ha riempito della sua presenza questo luogo a lui dedicato” (cfr. orazione sopra le offerte).
Ma la parola di Dio che abbiamo ascoltato ci sospinge immediatamente a oltrepassare il segno esteriore del sacro edificio e ci invita a leggere, raffigurata in esso, la realtà della santa Chiesa che qui, nella terra bolognese, come nel mondo intero, contempla e cerca di inverare attuosamente il mistero della sua indole di “nazione santa”, di “sacerdozio regale”, di “popolo che Dio si è acquistato” (cfr. 1 Pt 2,9); e anzi - a un livello più profondo di comprensione - il mistero della sua natura trascendente di “Sposa” del Re dell’universo e di “Corpo di Cristo”.

“Quanto è grande la casa di Dio,
quanto è vasto il luogo del suo dominio!
E’ grande e non ha fine,
è alto e non ha misura” (Bar 3,24-25),

ci ha detto la lettura profetica. Per la verità, queste parole dell’antico scrittore esprimono senza dubbio una prospettiva cosmica: tutto il creato è dimora e tempio del Creatore. Ma noi, in questo contesto liturgico, non abbiamo difficoltà a riferire tale prospettiva anche e soprattutto al “mondo redento” ed ecclesialmente compaginato; al mondo sacramentale che, sotto i segni e la struttura visibile, è in reale congiunzione e in comunione palpitante con l’esorbitante splendore dell’invisibilità ultraterrena. Vale a dire, non abbiamo difficoltà a riferire quella prospettiva alla realtà della Chiesa, che quindi possiede anch’essa (a considerarla nella sua ultima verità) una dimensione sconfinata e una incommensurabile ricchezza.
E’ quanto l’autore della lettera agli Ebrei ricordava ai suoi destinatari, che correvano il pericolo di percepire la loro straordinaria esperienza cristiana come qualcosa di meschino e di angusto. Rievocando la loro iniziazione battesimale e quindi la loro essenziale e perenne condizione di chiamati e di consacrati, così egli scriveva: “Voi vi siete accostati al monte di Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione, al Mediatore della Nuova Alleanza e al sangue dell’aspersione più eloquente di quello di Abele” (Eb 12,22-24).
Non so se sia possibile trovare, sintetitizzate in così breve testo tante espressioni più fervide di entusiasmo, più ricche di verità e più efficaci a persuaderci della nostra fortuna.
Quando mai in noi stessi e nei nostri fratelli di fede siamo riusciti a infondere e a ravvivare la gioia dell’appartenenza alla santa Chiesa Cattolica con parole vibranti come queste di affetto e di ammirazione? Eppure questo è un tema pastorale di pungente attualità nella cristianità dei nostri tempi, nei quali la Sposa di Cristo e Madre nostra è impunemente offesa e avvilita come forse non è mai stata.
Sicché è possibile che si diffonda anche nei frequentatori della casa del Signore un’aria di scoraggiamento e di resa, un clima di tristezza che non è certo la “tristezza secondo Dio”, di cui ci parla san Paolo (cfr. 2 Cor 7,9-10).
Deve invece tornare a fiorire sulle labbra di tutti i discepoli di Gesù - e proprio in riferimento alla nostra permanenza nella Chiesa - il canto gioioso del Salmista:

“Quanto sono amabili le tue dimore,
Signore degli eserciti!
L’anima mia languisce e brama
gli atri del Signore.
Beato chi abita la tua casa:
sempre canta le tue lodi! (Sal 84 <ebr>, 2-3.5).

La luminosa e sconfinata grandezza del mistero ecclesiale ha nel Signore Gesù la sorgente irradiante divita e il centro unificante d’amore. Cristo, imparagona-bile e inalienabile tesoro della Chiesa, è presente in essa tutti i giorni della sua alterna vicenda, nei giorni sereni e nei giorni rannuvolati, nei giorni lucenti e nei giorni nebbiosi: “Ecco io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo” (Mt 28,20). L’altare – pietra scelta, forte e stabile, che domina questa sacra aula - è davanti ai nostri occhi perenne appello a questaverità consolante.
Cristo resta presente nella sua Chiesa, mantenendosi nell’unità col Padre. Lo abbiamo sentito: “Sappiate che il Padre è in me e io nel Padre” (cfr. Gv 10,38). E rimanendo nella sua Chiesa, raccoglie infaticabilmente nell’unità il gregge dei suoi: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono” (Gv 10,27), come ci ha riferito la lettura evangelica. “Io in loro e tu in me” (Gv 17,23), dice Gesù nella così detta preghiera sacerdotale; ed è la formula più sintetica, e forse anche la più adeguata, del mistero ecclesiale.
Ma bisogna che questa unità di persuasioni, di sentimenti, di propositi, di azioni sia non solo l’opera del nostro Signore e Redentore, ma anche l’aspirazione, la ricerca quotidiana, la desiderata conquista di coloro che appartengono a questa famiglia di credenti, raffigurata nella cattedrale.
Quanti oggi abbiamo la grazia di riflettere sul “mistero del tempio”, simbolo della Chiesa, dobbiamo tutti proporci di essere “pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale” (cfr. 1Pt 2,5), ci ha detto san Pietro. Pietre vive, non interiormente disfatte, non sconnesse, non disorganiche; fuor di metafora, dobbiamo essere cristiani solidi, non stonati nel coro dei credenti, non renitenti alla voce dello Spirito e della Sposa quando concordemente chiamano e dicono: “Vieni!” (cfr. Ap 22,17).
Tutti dobbiamo comportarci - è un secondo paragone offertoci dalla parola di Dio - come le pecore che stanno vicino al Principe dei pastori (cfr. 1 Pt 5,4), e non si lasciano tentare dall’istinto anarchico che, poco o tanto, c’è in ogni cuore né si lasciano sedurre dai pascoli dell’attualità mondana: pascoli vistosi e allettanti, anche se estranei e spesso anche mortiferi. Certo, il buon Pastore è capace di andare a riprendersi la pecora che si smarrisce e di riportarla all’ovile; ma è in ogni caso preferibile la pecora che non si allontana, e così gli risparmia la fatica.
Verso il disegno del Padre e la vitale disciplina della Chiesa - ed è una terza immagine biblica – chiediamo in dono un’obbedienza come quella delle stelle. Tutte percorrono fedelmente l’orbita che è stata loro tracciata, nell’armonia mirabile di un unico firmamento. Ce lo ha detto anche l’antico profeta: “Le stelle brillano dalle loro vedette e gioiscono; egli le chiama e rispondono: ‘Eccoci!’ e brillano di gioia per colui che le ha create” (Bar 3,34-35).