I danni dell'invidia e della gelosia per i singoli e per la Chiesa

Molto si estende la rovina, molteplice e tristemente feconda, della gelosia. E’ la radice di tutti i mali, la sorgente delle stragi, il vivaio dei delitti, la sostanza delle colpe. Da lei sorge l’odio, da lei procede l’animosità. La gelosia infiamma l’avarizia, perché non può essere contento del suo, chi vede l’altro più ricco di sé. La gelosia eccita l’ambizione, se si vede qualcuno maggiormente onorato. Quando la gelosia accieca il nostro senso e soggioga al suo potere l’intimo della nostra mente, si disprezza il timore di Dio, si trascura l’insegnamento di Cristo, non si pensa al giorno del giudizio. La superbia si gonfia, la crudeltà si esacerba, la perfidia si erge, l’impazienza si scuote, furoreggia la discordia e ferve l’ira; e chi è in potere altrui non può più reggere e reprimere sé. Si rompe così il vincolo della pace donataci dal Signore, si viola la carità fraterna, si adultera la verità, si scinde l’unità, ci si getta nell’eresia e nello scisma, si disprezzano i sacerdoti, si invidiano i vescovi - lamentandosi di non essere stati nominati al posto loro – e si sdegna di riconoscere i propri superiori. Così ricalcitra e si ribella chi è superbo per l’invidia e pervertito dalla gelosia: chi è nemico, per animosità e livore, non dell’uomo, ma della sua dignità.

Ma quale tignola per l’anima, quale muffa per il pensiero, quale ruggine per il cuore, invidiare in altrui, o la sua virtù, o la sua felicità, odiare cioè in lui o i suoi meriti, o i benefici divini, convertire in male proprio il bene altrui, esser tormentati dalla prosperità dei ricchi, far propria pena della gloria degli altri, e radunare quasi nel proprio tetto i propri carnefici, farsi cioè torturare dai propri pensieri e dai propri sensi, lasciarsi da loro lacerare con sofferenze profonde, strappare a brani l’intimo del cuore con le unghie del rancore. In tale stato non si può gustare cibo o apprezzare bevanda: e si sospira sempre, si geme e ci si duole; mai gli invidiosi depongono il loro livore, giorno e notte il loro petto è internamente lacerato senza posa. Gli altri mali hanno un termine e ogni sentimento delittuoso, una volta compiuto il delitto, si placa… ma l’invidia non ha termine: è un male sempre vivo, un peccato senza fine; più chi è oggetto di invidia avanza e ha successo, più l’invidioso arde in un maggiore fuoco di gelosia…

Perciò il Signore, preoccupandosi di questo pericolo e che nessuno incappasse nel laccio mortale dell’invidia contro i fratelli, interrogato dai suoi discepoli chi tra loro fosse maggiore, disse: “Chi sarà il minimo fra tutti voi, costui sarà grande” (Lc 9,48).

(Cipriano di Cartagine, De zelo et livore)