La lebbra del peccato

La mentalità religiosa dei contemporanei di Gesù legava l’anima al corpo in una unità maggiore di quanto non facesse la mentalità greca. Ne risultava che ogni malattia fisica doveva essere il riflesso e la conseguenza di una malattia morale.

Il lebbroso, un escluso

Fra tutte le malattie, la lebbra era considerata dagli Ebrei quella che più rendeva impuro l’uomo, perché distruggendolo nella sua integrità e vitalità fisica, era per eccellenza segno del peccato e della sua gravità. Per questo, la lebbra non è mai considerata solo o principalmente da un punto di vista medico, ma riveste un carattere prevalentemente religioso. Solo così si spiegano le misure severe e repellenti che sono riportate nella prima lettura. Non si tratta semplicemente di misure profilattiche: tale isolamento mirava a preservare «la santità del popolo di Dio». La lebbra, segno del peccato, poneva l’uomo al di fuori della comunità del popolo di Dio, ne faceva uno «scomunicato».
Per questo le guarigioni dalla lebbra, narrate dai vangeli — tenuto conto del contesto sociale presente nella prima lettura — diventano simbolo della liberazione dal peccato, segno e prova del potere di Gesù.

L’incontro con Gesù
Ma la guarigione operata da Gesù dice qualcosa di più della semplice liberazione da una malattia e della riammissione nel seno della comunità. Egli si rende partecipe della situazione del lebbroso; toccandolo con la sua mano, in qualche modo contrae la sua stessa impurità... In questo gesto Gesù appare come colui che «si è caricato delle nostre sofferenze»: ha contratto, lui, il male disgregatore delle forze vive dell’uomo e così ci ha guariti nella radice del nostro essere. Si ha qui una prima realizzazione della profezia del Servo di Iahvè che si presenta con l’aspetto di un lebbroso perché si è addossato i nostri peccati e, conseguentemente, il loro castigo (cf Is 53,3-12).
Questo si realizzerà alla lettera nella sua passione quando sarà portato a morire assieme ai malfattori, «fuori dell’accampamento», fuori delle mura della città.
Sotto i diversi elementi del racconto evangelico si coglie, in trasparenza, il dinamismo della confessione-penitenza, come si opera oggi nella Chiesa. La celebrazione della penitenza è un incontro con Gesù che guarisce dalla lebbra del peccato e riammette nella comunità ecclesiale. Il racconto ha un andamento quasi liturgico e non è difficile individuare nei gesti del lebbroso e in quelli di Gesù un trasparente simbolismo penitenziale.

Gli esclusi di oggi
La lebbra purtroppo esiste ancora nella nostra società. Essa ha lo stesso volto disumano di sempre e, paradossalmente, la condizione del lebbroso non è molto cambiata dai tempi di Gesù.
Ma la nostra considerazione non si può fermare solo sulla lebbra. Ci sono tante altre categorie di esclusi nella nostra società, gente emarginata e tenuta «fuori dell’accampamento», cioè fuori di una società dove si decide per loro e su di loro, ma senza considerarli o interpellarli.
I lebbrosi d’oggi sono la gente che vive nelle baracche delle «bidonvilles» delle città ricche ed opulente, sono i «falliti», i sottooccupati delle città industriali, sono i giovani «drogati», i «bruciati», vittime di una civiltà rivolta solo al consumo e al successo; sono i bambini handicappati, ritardati, spastici, ai quali la società non pensa, perché non «rendono» e sono di peso; sono gli anziani che «aspettano» senza speranza la morte in un isolamento e in una inerzia che frustra e svilisce...; sono i carcerati, bollati d’un marchio anche dopo scontata la pena.
I cristiani sono chiamati a rendere ragione della speranza che è in loro. Ad essi spetta darne testimonianza credibile. L’impegno per costruire un mondo più giusto, più a misura d’uomo e dell’uomo redento, è contributo effettivo al cammino del Regno.
Nell’attesa di nuovi cieli e di nuova terra, il cristiano vive la sua presenza nel tempo come membro solidale di tutta l’umanità, nel suo sforzo di trasformazione del mondo: è questo infatti il mondo che verrà rigenerato in nuova umanità e in nuova terra. La responsabilità storica e sociale dei cristiani li pone a confronto con problemi sempre nuovi, sia in ordine al rapporto con gli altri che con le cose (cf CdA, pag. 424).